“Porte in aria” - domenica 30 marzo alle 18 in piazza Sant’Oronzo a Lecce – non è solo una mostra di pittura contemporanea. È arte che si compone sotto gli occhi. Come Massimo Schito, l’artista che la realizza. La sua forma espressiva è l’action painting, movimento pulsivo “dal dentro al fuori, dal fuori al dentro”. L’arte esce dalle gallerie e incontra finalmente la gente, sull’orma delle flash mob, incontri a sorpresa negli spazi aperti del mondo con l’obiettivo di incontrarsi, fare numero e stupire i passeggiatori increduli. “Porte in aria” ha l’obiettivo di sensibilizzare e promuovere l’essenza e l’importanza dell’arte come strumento espressivo, manifestare alla popolazione la presenza di artisti sul territorio, condividere spazi cittadini cui spesso si è indifferenti. L’arte vuole comunicare, come non mai. Come successo a Roma con le migliaia di palline colorate che scendevano divertite la scalinata di piazza di Spagna, i colori di Schito schizzeranno sulle tele, senza motivo apparente, ma dando voce al subconscio dell’artista.
Una manifestazione che punta a risvegliare le coscienze di un Salento in fermento, una terra dalle mille potenzialità. Che rischia lo stallo se si convince di aver raggiunto l’appagamento, mentre al contrario ha bisogno di stimoli quotidiani. Proprio come le tele di Schito.
Massimo Schito (San Pancrazio, 1972) è uno degli esponenti italiani dell’action painting. Espone a Monogramma, galleria d’arte in via Margutta, Roma (ww.marguttarte.com). I suoi “paesaggi emozionali” sono vita ritrovata, che urla sulla tela, in una continua pulsione primordiale di materia.
lunedì 16 giugno 2008
Il bacio...
Strappi funesti si ricuciono attraverso suture scintillanti...cospargono luce alli'interno delle membra sottili e gonfie di sensi inquieti...e irradiano calore verso il centro...il solo e unico centro di senso e di essenza...viaggi concentrici e vortici ruggenti ci cullando nel tragitto, ci strattonano e poi ci sostengono...ali...ali trasparenti e multicolori si prostrano al nostro servizio durante le terrificanti cadute libere...è solo un morso..solo un morso che ci tiene ancora lontani dal centro...un morso che per molti potrebbe non arrivare mai...eppure...è solo un morso...
Addentare la vita, la fame...la fame ci manca, il desiderio ci consuma, l'idillio ci distoglie...il vero si discioglie...ma è lì...chiaro, trasparente...riflesso il uno specchio frantumato dai mille volti....
Schegge scaraventiamo nel mondo, con schegge taglienti ci incidiamo il sangue e coliamo i veleni della nostra gioia...è tutto così vicino...
Affondiamo le zanne nel mondo lo sbraniamo selvaggiamente...sangue...cospargiamo di sangue il tempo che passa mentre corre nel vento e se ne và...poi passiamo gran parte della vita a correre dietro a questo vento...con l'affanno con il sudore con l'angoscia che ci lacera il cuore...
Aquiloni...aquiloni colorati scaraventati nel cielo...il mondo è invalido e questo ci strugge, il mondo non ci risponde e allora ci scortichiamo le ginocchia dell'animo nel pregarlo di tornare da noi...
Ma il centro...il centro ci aspetta...fosse anche mobile...fosse anche in costante disequilibrio...ma il tragitto è concentricamente musicale,avvolgente, fluttuante, creativamente pentagramamtico...e il mondo è solo un respiro, un respiro immenso da cui ci nutriamo che noi stessi nutriamo...e allora non importa che ci risponda, che importa se ci ferisce...scivoliamo verso il nostro centro, nella nostra isola felice tinteggiata dai modi del nostro essere pittoresco e oniroco...è la pace...è la felicità, è la quiete in costante movimento...tutto scorre e noi con il tutto...nulla...nulla ci scaraventa nell'infinito senza porgerci un'ala trasparente e multicolore...addentiamo il centro, con aggressività e fino in fondo...lasciamo scivolare il suo nettare nella nostra gola d'essenza, e fluido scende giù, solca le terre purpuree del nostr sentire e vorticosamente scende in noi..
volteggiando sul nostro fluido esistenziale, tendiamo una mano...ma non pretendiamo che venga colta...la felicità è nel porsi, nel mordersi, nel succhiarlo questo nettare senza pietà...e se è vero che la gioia non è reale se non è condivisa...ci sarà chi sussurrerà gocce del nostro nettare e porterà in dono su drappi vellutati il proprio centro guarnito del proprio vischioso fluido...e allora noi porgeremo le nostre labbra e attraverso di esse condivideremo l'essenza della fluidità disciolta al tepore della luna scarlatta...vita...respiro...il centro del mondo...
Marta
G. Allevi - Il bacio
domenica 15 giugno 2008
Che cos'é il Counseling
La verità comincia in due. (F. Nietzsche)
Definizione di Counseling: il Counselling è un processo di apprendimento, attraverso un’interazione tra Counsellor e cliente, o clienti (individui, famiglie, gruppi o istituzioni), che affronta in modo olistico problemi sociali, culturali e/o emozionali. Il Counselling può cercare la soluzione di specifici problemi, aiutare a prendere decisioni, a gestire crisi, migliorare relazioni, sviluppare risorse, promuovere e sviluppare la consapevolezza personale, lavorare con emozioni e pensieri, percezioni e conflitti interni e/o esterni.
L’obiettivo del counselling, nel complesso, è di fornire ai clienti opportunità di lavoro su se stessi, nell’ottica di raggiungere maggiori risorse e ottenere una maggiore soddisfazione come individui e come membri della società.
Definizione di Counselor: Il Counsellor è un operatore d’aiuto in tutte quelle situazioni che hanno a che fare con relazioni umane, da quelle professionali a quelle interpersonali fino a quelle con se stessi. Il concetto di relazione d’aiuto si può intendere in varie maniere naturalmente: una è quella dell’aiuto attraverso la relazione, in cui la relazione appunto fra operatore e cliente è paradigma relazionale, la cui qualità funziona come esempio per le altre relazioni. Altra implicazione possibile è che si tratti di aiutare ad aiutarsi: l’operatore in questo caso avrebbe una funzione di catalizzatore di avvenimenti interni, e non di sostituto di capacità mancanti.
(fonte: http://www.aicounselling.it)
Finalità del Counselling
Il Counselling, come definito dall’art. 6 dello Statuto del CNCP, è un processo relazionale tra Counsellor e uno o più Clienti (singoli individui, famiglie, gruppi o istituzioni) con l’obiettivo di fornire ad essi opportunità e sostegno affinché sviluppino le loro risorse e affinché promuovano il proprio benessere come individui e come membri della società affrontando specifiche difficoltà o momenti di crisi.
Il Counsellor opera nel rispetto della dignità, dell’ autonomia e dell'autodeterminazione delle persone, senza discriminazioni di età, di genere e orientamento sessuale, di etnia e cultura, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, quali che siano le condizioni istituzionali e sociali nelle quali il Counsellor opera.
(fonte: http://www.counsellingcncp.org)
Che cos'è l'Art-Counseling
ArtCounseling o counseling espressivo
L'Art Counseling è in grande sviluppo in questo momento storico-culturale, agevola il ben-essere dell’individuo attraverso varie forme dell’arte: musica, teatro, poesia, danza, pittura, altre forme creative ....
Nel Counseling Espressivo e nell'Arteterapia, l'espressione creativa è l'espressione del sentimento interiore dell'uomo, mette l'individuo nelle condizioni di entrare in contatto con la propria realtà interna per conoscerla ed accettarla. Il termine terapia, in questo caso, non sta a significare che le arti vogliono curare le persone che le praticano, ma esprime il concetto secondo cui attraverso l'attività creativa l'individuo intraprende un processo di autoconoscenza delicato e mediato. Ogni essere umano è dotato di creatività. La creatività è una grande risorsa da cui attingere; il Counseling Espressivo e l'Arteterapia ci aiutano a riscoprirla e ad utilizzarla per modificare e migliorare il nostro percorso di vita.L'intervento include l'area preventiva, educativa e riabilitativa di differenti fasce di utenti. Diffuse anche in ambito istituzionale, queste modalità vivono nel modello delle Psicoterapie Umanistico Esistenziali e promuovono un approccio integrato. Uno spazio per l'espressione e la creatività, favorisce il benessere e stimola un processo ristrutturante e significativo per l'individuo nel suo contesto. Il percorso nell'Art-Counseling, è un gioco, è un colore, è un creare nel "qui e ora" che aiuta l'utente a manifestare le sue EMOZIONI, accompagnato dall'operatore pronto ad accoglierlo alla Rinascita.
L'Art-Counselor è un operatore sociale qualificato che ha acquisito una conoscenza specifica del processo artistico e della comunicazione non verbale, che opera nell'area del sostegno e del disagio.L'arte nelle sue molteplici manifestazioni è un tesoro da sempre, è nascosto nel cuore di ogni uomo.L'Art-Counselor è formato per creare un ambiente che faciliti l'espressione, interviene con competenza e sensibilità a riportare in superficie ciò che spesso è nascosto e che crea quel "blocco" emotivo del disagio esistenziale.
L'Art-Counselor è formato in particolare per offrire un approccio multidisciplinare facilitante la relazione; questa professione, nuova per l'Italia, trova applicazione in un'ampia gamma di disagi e sofferenza emotiva. Questa figura professionale trova la sua collocazione in ambiti che vanno dalla prevenzione e assistenza agli anziani sino a interventi d'equipe (il Counselor viene richiesto come supporto integrato al lavoro d'equipe); dalle scuole al volontariato, ai centri di assistenza per il disagio giovanile, ai centri di recupero per tossicodipendenza.
(fonte http://artcounseling.bloog.it)
L'Art Counseling è in grande sviluppo in questo momento storico-culturale, agevola il ben-essere dell’individuo attraverso varie forme dell’arte: musica, teatro, poesia, danza, pittura, altre forme creative ....
Nel Counseling Espressivo e nell'Arteterapia, l'espressione creativa è l'espressione del sentimento interiore dell'uomo, mette l'individuo nelle condizioni di entrare in contatto con la propria realtà interna per conoscerla ed accettarla. Il termine terapia, in questo caso, non sta a significare che le arti vogliono curare le persone che le praticano, ma esprime il concetto secondo cui attraverso l'attività creativa l'individuo intraprende un processo di autoconoscenza delicato e mediato. Ogni essere umano è dotato di creatività. La creatività è una grande risorsa da cui attingere; il Counseling Espressivo e l'Arteterapia ci aiutano a riscoprirla e ad utilizzarla per modificare e migliorare il nostro percorso di vita.L'intervento include l'area preventiva, educativa e riabilitativa di differenti fasce di utenti. Diffuse anche in ambito istituzionale, queste modalità vivono nel modello delle Psicoterapie Umanistico Esistenziali e promuovono un approccio integrato. Uno spazio per l'espressione e la creatività, favorisce il benessere e stimola un processo ristrutturante e significativo per l'individuo nel suo contesto. Il percorso nell'Art-Counseling, è un gioco, è un colore, è un creare nel "qui e ora" che aiuta l'utente a manifestare le sue EMOZIONI, accompagnato dall'operatore pronto ad accoglierlo alla Rinascita.
L'Art-Counselor è un operatore sociale qualificato che ha acquisito una conoscenza specifica del processo artistico e della comunicazione non verbale, che opera nell'area del sostegno e del disagio.L'arte nelle sue molteplici manifestazioni è un tesoro da sempre, è nascosto nel cuore di ogni uomo.L'Art-Counselor è formato per creare un ambiente che faciliti l'espressione, interviene con competenza e sensibilità a riportare in superficie ciò che spesso è nascosto e che crea quel "blocco" emotivo del disagio esistenziale.
L'Art-Counselor è formato in particolare per offrire un approccio multidisciplinare facilitante la relazione; questa professione, nuova per l'Italia, trova applicazione in un'ampia gamma di disagi e sofferenza emotiva. Questa figura professionale trova la sua collocazione in ambiti che vanno dalla prevenzione e assistenza agli anziani sino a interventi d'equipe (il Counselor viene richiesto come supporto integrato al lavoro d'equipe); dalle scuole al volontariato, ai centri di assistenza per il disagio giovanile, ai centri di recupero per tossicodipendenza.
(fonte http://artcounseling.bloog.it)
Che cos'è l'Arteterapia
Arteterapia: l'arte che cura
L’arteterapia può essere definita come l’insieme dei trattamenti terapeutici che utilizzano come principale strumento il ricorso all’espressione artistica allo scopo di promuovere la salute e favorire la guarigione, e si propone come una tecnica dai molteplici contesti applicativi, che vanno dalla terapia e la riabilitazione al miglioramento della qualità della vita.Le risorse utilizzate sono le potenzialità che ognuno di noi possiede, chi più chi meno, di elaborare il proprio vissuto e di esprimerlo creativamente; dove educare sta per e-ducere, cioè portar fuori e, nella pratica terapeutica e riabilitativa, portar fuori dal buio verso una maggiore conoscenza e consapevolezza.Il focus dell’arteterapia, più che sul prodotto artistico finale, è sul processo creativo in sé. Ciò che è importante è soprattutto l’esprimersi, il creare. L’atto di produrre un’ impronta creativa, infatti, permette all’individuo di accedere agli aspetti più intimi e nascosti di sé, di contattare ed esprimere le emozioni più recondite e spesso inaspettate, e di sperimentare e potenziare abilità spesso ignorate o inutilizzate. In questo senso il processo creativo, al di là del contenuto e del risultato finale, è già terapeutico in sé.“L’arte ha valore per la sua capacità di perfezionare la mente e la sensibilità più che per i suoi prodotti finali” (Fred Gettings, 1966)
Ciò non toglie che queste impronte creative, e cioè i prodotti finali dell’espressione artistica, possano svolgere altre importanti funzioni. Prima di tutto rappresentano per “il creatore” una traccia di sé, la testimonianza della propria auto-affermazione e il ricordo delle esperienze vissute durante la sua produzione, e dunque un punto di partenza per ulteriori riflessioni. Inoltre, in quanto rappresentazione simbolica del mondo interno del soggetto, rappresenta per il terapeuta uno strumento privilegiato di accesso ai suoi contenuti interni, e dunque un materiale molto ricco ai fini della diagnosi e di una maggior comprensione del paziente.Come tecnica terapeutica e riabilitativa l’arteterapia si è sviluppata solo di recente (circa una cinquantina di anni fa) in seguito ai successi ottenuti da alcuni specialisti in attività creative nell’ambito dell’assistenza sanitaria, della riabilitazione e dell’educazione speciale. Il concetto stesso di arteterapia è dunque relativamente nuovo. Le sue origini, tuttavia, possono essere rintracciate nell’antico ed eterno rapporto tra cultura, arte, e sviluppo sociale. “Alcuni autori sono arrivati a suggerire che tra arti e società esiste un legame inscindibile: perciò, la salute di una società si riflette nella sua attività artistica, e viceversa. Analogamente, si è detto che l’esercizio del diritto a produrre la propria impronta creativa può essere considerato come indice di salute dell’individuo.” (Warren,1993).
Fare arte coinvolge l’individuo nella sua totalità mente-corpo. L’attività creativa richiede infatti non solo un impegno intellettivo e cognitivo - legato all’immaginazione e all’ideazione del ‘prodotto artistico ’ - ma anche un impegno percettivo, sensoriale, e motorio, legato alla produzione artistica in senso stretto. Le tecniche legate all’arteterapia hanno dunque la funzione di porre in miglior comunicazione soma e psiche, mente e corpo, e di far in modo che vi sia un rapporto più fluido ed equilibrato, e dunque più sano, tra questi due inscindibili aspetti che ci costituiscono, troppo spesso vissuti in maniera separata.Fare arte, nel senso di impegnarsi in un’attività nuova e creativa, promuove inoltre l’attivazione dell’emisfero destro del cervello, che presiede appunto alle attività creative, alla fantasia, all’intuizione, alla comunicazione e ai segnali corporei (pensiero analogico). Nella nostra società contemporanea, e in particolar modo in quella occidentale, il pensiero analogico viene ritenuto di solito come meno importante rispetto al pensiero logico-razionale, dovuto invece all’attività dell’emisfero sinistro. In realtà, invece, come necessitiamo di due gambe per poter camminare correttamente, allo stesso modo abbiamo bisogno dell’attività congiunta dei due emisferi del cervello per poterci adattare adeguatamente alla mutevole realtà. Il così detto “pensiero laterale”, infatti, il cui sviluppo viene promosso dall’attivazione dell’emisfero destro, è fondamentale per arginare i limiti del pensiero logico-formale. Come bene sintetizza il medico psicologo De Bono (Manzelli, Neuroscienze.net), il pensiero laterale permette di riconoscere i criteri e le idee dominanti che di solito polarizzano la percezione di un problema, di cercare dunque modalità nuove di guardare ed operare sulla realtà, e quindi di rendere più flessibile il rigido controllo del pensiero logico-razionale e stimolare lo sviluppo della creatività. L’arteterapia dunque diviene un’importante opportunità per dedicare spazio e tempo, e dunque promuovere e potenziare, queste fondamentali capacità.Fare arte implica il ricorso al linguaggio dei simboli. Dipingere, disegnare, plasmare, danzare, implicano un’attività nella quale tutti i nostri sensi vengono stimolati e noi veniamo assorbiti nella nostra totalità. Ciò che proviamo e sperimentiamo si riflette nella nostra produzione artistica in termini di qualità ed intensità di linee, tratti, colori, movimenti, nel modo in cui usiamo il tempo e lo spazio, eccetera. Per cui l’espressione artistica si propone come un riflesso, una rappresentazione simbolica del nostro mondo interno e delle modalità che solitamente usiamo nel rapportarci alla realtà, sia esterna che interna.È proprio la caratteristica di utilizzare il linguaggio dei simboli, e dunque non solo quello verbale, che rende l’arteterapia un canale privilegiato rispetto alle altre forme di terapia. L’espressione artistica funge infatti da fattore di protezione e contenimento, e da oggetto mediatore nella relazione tra l’utente e il terapeuta, e così, pur rispettando i meccanismi di difesa, in qualche modo li aggira e favorisce la libera espressione del proprio mondo interiore, una maggiore autoconsapevolezza e l’attivazione di risorse creative.È infatti più facile parlare di un disegno, di una poesia, di un brano musicale, di un film o di qualsiasi altro prodotto artistico, che parlare di sé.(...)
Per tutte queste caratteristiche intrinseche del fare arte, l’arteterapia riesce a superare i limiti delle terapie esclusivamente verbali. Facendo ricorso alle modalità infantili, ai più diversi registri sensoriali e comunicativi, e stimolando la creatività, l’arteterapia permette a tutti, e soprattutto a chi ha, per qualsivoglia ragione, difficoltà di comunicazione di esprimere emozioni e sentimenti inibiti, o di cui è difficile parlare; identificare ed affrontare conflitti e blocchi emozionali; migliorare la conoscenza e il rapporto con il proprio corpo; aumentare l’autoconsapevolezza; incrementare l’autostima e la percezione di autoefficacia; affermare sé stesso e la propria identità/individualità; sviluppare nuove strategie di comportamento; incrementare le capacità relazionali e comunicative.L’arteterapia viene usata nei contesti più vari (terapia, riabilitazione, educazione). (...)
Tra le forme d’arte principalmente utilizzate in arte terapia si possono menzionare tutte le arti grafiche, dal disegno alla scrittura; la danza; la musica; il teatro e la cinematografia.
Estratto da:
IMPROTA, A. (2005). Arteterapia: l’arte che cura. Firenze: PsicoLAB. Visionato il 10/04/2008 su http://www.psicolab.net/
L’arteterapia può essere definita come l’insieme dei trattamenti terapeutici che utilizzano come principale strumento il ricorso all’espressione artistica allo scopo di promuovere la salute e favorire la guarigione, e si propone come una tecnica dai molteplici contesti applicativi, che vanno dalla terapia e la riabilitazione al miglioramento della qualità della vita.Le risorse utilizzate sono le potenzialità che ognuno di noi possiede, chi più chi meno, di elaborare il proprio vissuto e di esprimerlo creativamente; dove educare sta per e-ducere, cioè portar fuori e, nella pratica terapeutica e riabilitativa, portar fuori dal buio verso una maggiore conoscenza e consapevolezza.Il focus dell’arteterapia, più che sul prodotto artistico finale, è sul processo creativo in sé. Ciò che è importante è soprattutto l’esprimersi, il creare. L’atto di produrre un’ impronta creativa, infatti, permette all’individuo di accedere agli aspetti più intimi e nascosti di sé, di contattare ed esprimere le emozioni più recondite e spesso inaspettate, e di sperimentare e potenziare abilità spesso ignorate o inutilizzate. In questo senso il processo creativo, al di là del contenuto e del risultato finale, è già terapeutico in sé.“L’arte ha valore per la sua capacità di perfezionare la mente e la sensibilità più che per i suoi prodotti finali” (Fred Gettings, 1966)
Ciò non toglie che queste impronte creative, e cioè i prodotti finali dell’espressione artistica, possano svolgere altre importanti funzioni. Prima di tutto rappresentano per “il creatore” una traccia di sé, la testimonianza della propria auto-affermazione e il ricordo delle esperienze vissute durante la sua produzione, e dunque un punto di partenza per ulteriori riflessioni. Inoltre, in quanto rappresentazione simbolica del mondo interno del soggetto, rappresenta per il terapeuta uno strumento privilegiato di accesso ai suoi contenuti interni, e dunque un materiale molto ricco ai fini della diagnosi e di una maggior comprensione del paziente.Come tecnica terapeutica e riabilitativa l’arteterapia si è sviluppata solo di recente (circa una cinquantina di anni fa) in seguito ai successi ottenuti da alcuni specialisti in attività creative nell’ambito dell’assistenza sanitaria, della riabilitazione e dell’educazione speciale. Il concetto stesso di arteterapia è dunque relativamente nuovo. Le sue origini, tuttavia, possono essere rintracciate nell’antico ed eterno rapporto tra cultura, arte, e sviluppo sociale. “Alcuni autori sono arrivati a suggerire che tra arti e società esiste un legame inscindibile: perciò, la salute di una società si riflette nella sua attività artistica, e viceversa. Analogamente, si è detto che l’esercizio del diritto a produrre la propria impronta creativa può essere considerato come indice di salute dell’individuo.” (Warren,1993).
Fare arte coinvolge l’individuo nella sua totalità mente-corpo. L’attività creativa richiede infatti non solo un impegno intellettivo e cognitivo - legato all’immaginazione e all’ideazione del ‘prodotto artistico ’ - ma anche un impegno percettivo, sensoriale, e motorio, legato alla produzione artistica in senso stretto. Le tecniche legate all’arteterapia hanno dunque la funzione di porre in miglior comunicazione soma e psiche, mente e corpo, e di far in modo che vi sia un rapporto più fluido ed equilibrato, e dunque più sano, tra questi due inscindibili aspetti che ci costituiscono, troppo spesso vissuti in maniera separata.Fare arte, nel senso di impegnarsi in un’attività nuova e creativa, promuove inoltre l’attivazione dell’emisfero destro del cervello, che presiede appunto alle attività creative, alla fantasia, all’intuizione, alla comunicazione e ai segnali corporei (pensiero analogico). Nella nostra società contemporanea, e in particolar modo in quella occidentale, il pensiero analogico viene ritenuto di solito come meno importante rispetto al pensiero logico-razionale, dovuto invece all’attività dell’emisfero sinistro. In realtà, invece, come necessitiamo di due gambe per poter camminare correttamente, allo stesso modo abbiamo bisogno dell’attività congiunta dei due emisferi del cervello per poterci adattare adeguatamente alla mutevole realtà. Il così detto “pensiero laterale”, infatti, il cui sviluppo viene promosso dall’attivazione dell’emisfero destro, è fondamentale per arginare i limiti del pensiero logico-formale. Come bene sintetizza il medico psicologo De Bono (Manzelli, Neuroscienze.net), il pensiero laterale permette di riconoscere i criteri e le idee dominanti che di solito polarizzano la percezione di un problema, di cercare dunque modalità nuove di guardare ed operare sulla realtà, e quindi di rendere più flessibile il rigido controllo del pensiero logico-razionale e stimolare lo sviluppo della creatività. L’arteterapia dunque diviene un’importante opportunità per dedicare spazio e tempo, e dunque promuovere e potenziare, queste fondamentali capacità.Fare arte implica il ricorso al linguaggio dei simboli. Dipingere, disegnare, plasmare, danzare, implicano un’attività nella quale tutti i nostri sensi vengono stimolati e noi veniamo assorbiti nella nostra totalità. Ciò che proviamo e sperimentiamo si riflette nella nostra produzione artistica in termini di qualità ed intensità di linee, tratti, colori, movimenti, nel modo in cui usiamo il tempo e lo spazio, eccetera. Per cui l’espressione artistica si propone come un riflesso, una rappresentazione simbolica del nostro mondo interno e delle modalità che solitamente usiamo nel rapportarci alla realtà, sia esterna che interna.È proprio la caratteristica di utilizzare il linguaggio dei simboli, e dunque non solo quello verbale, che rende l’arteterapia un canale privilegiato rispetto alle altre forme di terapia. L’espressione artistica funge infatti da fattore di protezione e contenimento, e da oggetto mediatore nella relazione tra l’utente e il terapeuta, e così, pur rispettando i meccanismi di difesa, in qualche modo li aggira e favorisce la libera espressione del proprio mondo interiore, una maggiore autoconsapevolezza e l’attivazione di risorse creative.È infatti più facile parlare di un disegno, di una poesia, di un brano musicale, di un film o di qualsiasi altro prodotto artistico, che parlare di sé.(...)
Per tutte queste caratteristiche intrinseche del fare arte, l’arteterapia riesce a superare i limiti delle terapie esclusivamente verbali. Facendo ricorso alle modalità infantili, ai più diversi registri sensoriali e comunicativi, e stimolando la creatività, l’arteterapia permette a tutti, e soprattutto a chi ha, per qualsivoglia ragione, difficoltà di comunicazione di esprimere emozioni e sentimenti inibiti, o di cui è difficile parlare; identificare ed affrontare conflitti e blocchi emozionali; migliorare la conoscenza e il rapporto con il proprio corpo; aumentare l’autoconsapevolezza; incrementare l’autostima e la percezione di autoefficacia; affermare sé stesso e la propria identità/individualità; sviluppare nuove strategie di comportamento; incrementare le capacità relazionali e comunicative.L’arteterapia viene usata nei contesti più vari (terapia, riabilitazione, educazione). (...)
Tra le forme d’arte principalmente utilizzate in arte terapia si possono menzionare tutte le arti grafiche, dal disegno alla scrittura; la danza; la musica; il teatro e la cinematografia.
Estratto da:
IMPROTA, A. (2005). Arteterapia: l’arte che cura. Firenze: PsicoLAB. Visionato il 10/04/2008 su http://www.psicolab.net/
IL SE’ NARRABILE, IL NOI NARRANTE
Il ruolo della narrazione nella costruzione dell’identita’ e nel processo di counseling
Presentare l’autobiografia come un atto solipsistico significa consegnare il sé
a un mondo muto o senza vita - un mondo, in ultima analisi, reso vuoto tanto dal
sé quanto dagli altri. [...] Non è stato appunto in tale vuoto che Narciso è
annegato?
JANET VERNER GUNN, Autobiography. Toward a poetic of experience
Le nostre vite sono incessantemente intrecciate alle narrazioni, alle storie che raccontiamo e ci raccontano, a quelle che sogniamo o immaginiamo o che ci piacerebbe poter narrare. Viviamo immersi nella narrazione ripensando e soppesando il senso delle nostre azioni passate, anticipando i risultati di quelle progettate per il futuro, elaborando il nostro esserci nel qui ed ora.L’arte del narrare è antica quanto l’uomo. Con lo sviluppo del linguaggio l’uomo ha potuto elaborare e perfezionare le sue narrazioni, trasportandosi così dal dominio della rappresentazione mimetica, caratteristica dei nostri antenati, a quello, più complesso e forbito, rappresentato dai processi del racconto e della recitazione.E’ attraverso le strutture narrative che gli individui riescono a costruire i propri mondi, le proprie realtà. Non solo: la narrazione si presenta anche come strumento indispensabile per la creazione dell’identità dell’uomo, dal momento che, narrando, organizziamo e diamo forma alle nostre conoscenze ed esperienze.Le responsabilità e finalità della narrazione, celate sotto un’apparente ovvietà, sono proprio quella di consentire la costruzione della realtà e di permettere all’uomo di significare e dar forma tanto al mondo in cui vive, quanto alla sua identità in stato di perenne revisione e definizione.La narrativa è essenziale e l’uomo esige di padroneggiarla per potersi definire. Narrare non è una scelta, è una necessità a cui l’uomo non può sottrarsi per stabilire il suo ruolo nel mondo, la propria identità e alterità. Senza la capacità di raccontare storie su noi stessi, non esisterebbe una “cosa come l’identità”. Il processo di costruzione dell’identità, come dimostrano anche gli studi sulla patologia della dysnarrativia associata a neuropatie come la sindrome quali di Korsakov o quella di Alzheimer, sembra, arrestarsi in assenza della capacità di narrare, il che equivale a dire che, se privati della capacità di costruire narrazioni, gli individui smarriscono il loro senso di identità e, dunque, il loro Io.Soltanto attraverso il dono della capacità narrativa siamo in grado di produrre un’identità che ci collochi nel mondo e in relazione agli altri. Ed è proprio nei processi relazionali che emerge vivida l’importanza delle narrazioni e la capacità di gestire, orientare e guidare i processi narrativi. Nei processi di Counseling, la narrazione (quale strumento dialogico, conoscitivo e comprensivo) riveste un ruolo fondamentale intorno al quale si dipana un intero universo di conoscenza, comprensione, elaborazione, supporto, costruzione, dedicato alla creazione e comprensione dell’identità assolutamente inscindibile dal suo ambiente e relazionata con esso.E se nell’arte narrativa dell’autobiografia emerge protagonista un sé narrabile e narrante, ideatore e costruttore dei propri significati, in quella narrativa-dialogica compare un nuovo e meraviglioso attore, il noi narrante, in cui Io-Tu e ambiente si fondono in un unico ricco cantore di senso.L’autobiografia presenta la singolare e curiosa caratteristica di essere un resoconto fatto da un narratore nel “qui e ora” circa qualcosa che è esistito nel “là e allora” e la cui storia finisce nel presente, quando il protagonista si fonde con il narratore (J. S Bruner). Il pensiero narrativo, attraverso il suo aspetto retorico, come una sorta di patteggiamento con quanto si è stati, ci “cura”, ci fa sentire meglio attraverso il raccontarci e il raccontare che diventano quasi forme di liberazione e di ricongiungimento (D. Demetrio).Ma il ruolo dell’altro, nel processo di costruzione del racconto della propria vita e della propria identità è un punto cardine per l’essere nel mondo che vive e racconta la propria storia, il proprio sè, il proprio senso.Siamo sempre esposti allo sguardo dell’altro che è in grado, attraverso il contatto con le nostre esperienze, di rivelarci, di scoprirci, di aiutarci a conoscerci, rifletterci. E’ il Tu di riferimento senza il quale non ci sarebbe un Io, un Io esposto, per citare la Arendt, esposto sin dalla nascita (“non si può apparire se non c’è nessun altro”) allo sguardo e alla domanda altrui: chi sei? Già sul piano meramente corporeo, all’identità è necessaria la presenza degli altri per essere riconosciuto e definito. Sin dalla nascita, ognuno di noi è chi appare agli altri.Ci sarebbe, dunque, un importante punto di contatto tra l’autonarrazione e la narrazione altrui sulla nostra storia di vita, in cui si fondono prospettive diverse entrambe fondamentali e irrinunciabili alla costruzione robusta e continua della definizione del sè per l’uomo. L’individuo, in una prospettiva olistica, come unità integrata mente-corpo, dentro-fuori, soggettivo e oggettivo, in costante dialettica con il mondo, esige entrambe le narrazioni per strutturare il proprio esser-ci nel mondo. Ed è qui che subentra la specialità del processo di counseling, che tende proprio ad allargare e approfondire questa visione, valorizzando lo sguardo dell’altro come elemento essenziale per una relazione sana e dialogica, e che tende a supportare l’individuo nel cogliere e significare la propria storia per riuscire a creare una nuova autobiografia, un nuovo significato.Le competenze narrative del Counseling nella relazione Io-Tu Il punto focale del counseling è il processo momento per momento, nel qui ed ora, della relazione tra il cliente e il counselor che ha l’obiettivo di costruire un incontro pieno e completo tra le due parti, sviluppando la capacità di instaurare una relazione autentica fondamentalmente caratterizzata dal dialogo: una relazione dialogica, ed è solo nel contesto di una relazione autentica che l’unicità dell’individuo, valore sacro in simili processi d’aiuto, può essere davvero riconosciuta creando le premesse e il contesto per processo sano, in evoluzione e volto alla possibilità di cambiamento. Insistendo sulla relazione “Io-Tu”, piuttosto che su quella “Io-Esso”, si vuole porre l’accento sulla necessità di arginare il rischio di trasformare l’altro in oggetto, come avverrebbe in quest’ultimo tipo di relazione, per lasciare spazio invece ad una relazione vera tra due persone uniche, in cui entrambe, come descriveva Buber, rispettano apertamente la essenziale umanità dell’altro. Capacità del counselor sarà dunque quella di esortare il cliente ad essere sé stesso il più completamente e pienamente possibile, stimolando l’inscindibilità dell’esperienza corporea, del linguaggio, del pensiero e della consapevolezza, e consentendo in questo modo al cliente di assumersi la responsabilità del proprio processo di cura essendo attivo in esso. Su questo sfondo il counselor utilizzerà lo strumento narrativo come mezzo di indagine e di costruzione, di cura e di creazione, guidando la narrazione secondo le modalità della relazione “Io-Tu” e non “Io-Esso”.Il racconto non può essere soltanto raccontato, deve anche essere ascoltato. Ciò che viene narrato acquista valore mediante la comprensione dell’ascoltatore. Gli intrecci, pari a quelli di un romanzo, che si sviluppano durante un processo di counseling, sono creati in collaborazione, si potrebbe quasi dire che cliente e operatore siano co-autori. Compito del counselor è quello di captare se dietro la storia raccontata c’è una buona storia, come farebbe con la lettura di un romanzo e lavorare per indirizzare il cliente verso una direzione che gli prometta una vita migliore, e guidarlo nelle narrazioni attraverso i fattori di cambiamento possibili e riscontrabili, affinché autonomamente e responsabilmente il cliente possa beneficiare dell’intervento. La prassi operativa del counseling narrativo prevede il passaggio, nel processo d’aiuto, da una narrazione co-costruita (da cliente e counselor) e improntata sulla soluzione del problema, ad una co-narrazione in cui le soluzioni assumono una funzione centrale nella costruzione dei significati condivisi.Il cliente diviene dunque parte attiva e prioritaria nel direzionare l’intervento di counseling all’interno di una ri-narrazione in cui egli è agente dinamico e promotore del proprio cambiamento, rinarrando se stesso all’interno delle sue potenzialità intrinseche, focalizzandosi sulle soluzioni possibili già presenti nella sua esperienza o ideandone di nuove partendo però sempre dal suo punto di vista: in questo modo il cliente sperimenterà il senso dell’autoefficacia che si trasforma in un’esperienza narrativa-emozionale molto carica e in grado di restituirgli la percezione e la consapevolezza di essere agente attivo nei confronti delle scelte operative richieste dalla realtà di vita. In questo modo e con questo senso, per dirla con Erving Polster, indiscutibilmente, ogni vita merita un romanzo...sempre.
Marta De Lorenzo
Assunti del counseling narrativo
Alla base della teoria che supporta l’approccio del counseling narrativo, vi è la convinzione necessaria che la relazione che si genera all’interno dell’incontro debba essere una relazione paritaria all’interno della quale il cliente mantiene la sua visione del mondo mentre il counselor assume il ruolo di facilitatore per la costruzione di storie alternative alla narrazione presente nella richiesta di counseling, storie che però non sono estranee al cliente o proposte e suggerite dal counselor, ma che già esistono nella mente del cliente, e necessitano solo di essere scoperte, contattate e gestite...
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Dia-logos al buio
Bip bip...è un altro giorno...e la sveglia suona
ancora...finalmente con una nuova melodia, quella di impiegare una nuova
giornata alla scoperta di qualcosa di ombroso e sottilmente intenso accanto a
qualcuno che illuminerà la tua vita di nuove percezioni sino a prima
sconosciute...melodia elettronica ma sempre meglio della voce atona e sintetica
che accudisce la percezione buia: ”so-no l-e se-tte”,...bip...bip...
Siamo sempre alla ricerca di qualcuno che in qualche modo si
occupi di noi, sottovalutando ogni nostra grandiosa potenzialità di autonomia e
autogestione, e ahimè quanto è ridicolo e triste quando ce ne rendiamo conto dinanzi
a chi quotidianamente vive in funzione di noi e dipende, in ogni sua gestione
del mondo esterno e della propria corporeità immersa in esso, completamente da
noi...pur dimostrandoci, ogni giorno, che le vera sfida è la nostra, non la
loro, a stentare nel buio che noi stessi ci creiamo, senza impulso a
squarciarlo con il nostro desiderio...Noi siamo i nostri propri demoni, noi ci
espelliamo dal nostro paradiso - recitava Goethe - e io mi inchino tutti i
giorni dinanzi alla fortuna di poter avere, ogni singolo istante, l’occasione
completa e assoluta di gestire i miei demoni, senza nessuno che ci accompagni necessariamente,
prendendo esempio da chi con i demoni ci convive quotidianamente e che,
nonostante il buio, non perda mai di vista un raggio di sole, come falene
eroiche in cerca di costante e dignitoso significato...
E così le giornate scorrono veloci, a volte intense, altre
molto leggere altre ancora addirittura ruvide, come quelle di ogni vita, sempre
con il braccio destro in tensione verso l’altro volto al suo sostenimento, e
che si scioglie di rigidità con il passare dei giorni fin quando, senza perdere
la vigilanza, ogni tensione si assimila nei propri schemi diventando ovvietà e
scioltezza, naturalmente come pareggiando il contrasto tra i sensi che
registrano differentemente, pur procedendo nella medesima direzione, e con la
stessa funzione...fino forse a diventare uno, e infondo dei due, non si sa più
bene quale sia la guida! A volte inciampo io, a volte inciampa l’altro...a
questo mondo capita sempre a tutti di inciampare prima o poi...!Eppure per
ognuno, c’è sempre qualcuno pronto a sorreggerlo.
Le strade sono sconnesse accidenti, chi ci aveva mai fatto così
caso, troppo davvero... troppo dissestate, lo sono sempre state, ma mai come
adesso, dove ogni passo diventa equilibrio precario e rischioso... “Che ti
frega” dice l’altro! male che va si prende una storta e se pure si cade, da un
metro e sessanta cosa mai ci si può fare”!...Incredibile...è proprio vero! Ma non
corretto, non è giusto, che questo mondo sia pensato e creato solo per chi non
ha menomazioni sensoriali o psico-motorie, ma probabilmente meno grinta e meno
spirito nell’affrontare la vita.
A volte si perde il filo della responsabilità, e anche
l’altro supera i limiti dell’accesso all’aiuto senza affinare quella percezione
dell’alter inteso fallibile, fragile
e dignitoso come tutti e non solo strumento di supporto, e così a volte il
gioco diventa duro per tutti e ognuno, da un lato e dall’altro, ha sempre
qualcosa da imparare e qualcosa da comprendere dell’altro, e mettendo in conto
il rischio di non comprenderlo affatto...tutto diventa relazione e tutto
diventa crescita nel momento del “tra” nella relazione. Ed in ogni modo ed in
ogni vita bisognerebbe educarsi all’educare e viceversa...
E così passano i giorni, passano i caffè e le passeggiate e
le risate e le lamentele, e la spesa e la scelta della busta del latte e ah!
almeno sulle medicine c’è questa benedetta scrittura in braille...certo però,
che se fossero un po’ più premurosi, e ci scrivessero anche la data di scadenza
in braille...
E giocando tra puntini a rilievo e buche clamorose e con il
vento in faccia, ogni giorno la sveglia suona sempre e di che colore sia il
sole chi lo sa, ma quel tepore del primo raggio è innegabile e inalienabile, è
pura e costante risorsa di vita...sempre...
(Ciao Enza...)
(Ciao Enza...)
http://blog.assistentisociali.org/2007/02/12/dia-logos-al-buio/
Arteterapia in carcere e con le tossicodipendenze
Con la terapia artistica i suicidi calano del 20%
Uno studio nelle carceri di Padova e Viterbo
Gazzetta del Mezzogiorno, 5 dicembre 2002
I detenuti delle carceri di Viterbo e Padova riscoprono i colori della vita col disegno e l’arteterapia: dopo tre anni di attività sono diminuiti del 20% i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo. È quanto è emerso a Roma al convegno "Arteterapia e carcere" in cui sono stati illustrati i risultati del progetto sperimentale, voluto da Sebastiano Ardita e da Bruna Brunetti del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) del Ministero di Giustizia, e presentato dal prof. Vittorino Andreoli.
Per la prima volta nel mondo viene attuato un progetto di questo tipo, secondo quanto hanno spiegato gli esperti, in cui i detenuti scoprono una nuova forma di linguaggio. Il linguaggio del disegno e della scultura che, come ha spiegato lo psichiatra Vittorino Andreoli, è una forma di espressione che va privilegiata in una società tutta incentrata sul linguaggio parlato e scritto.
L’esperimento pilota ha coinvolto 300 detenuti delle carceri di Viterbo e Padova. L’esperimento è stato un successo, secondo il commento della dottoressa Anna Rita Giaccone della Asl di Viterbo la quale ha espresso la speranza che tale progetto continui nel tempo e sia esteso ad altre carceri.
Colori per dimenticare il tempo della droga
Il Mattino di Padova, 5 dicembre 2002
Sono i detenuti tossicodipendenti del carcere di Padova, assieme a quelli di Viterbo, i protagonisti di un esperimento che non ha precedenti al mondo: grazie all’arteterapia, a un barattolo di colori e al disegno, hanno dato un nuovo senso alla vita. Dopo tre anni di attività, tra di loro sono diminuiti del 20% i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo.
I risultati della ricerca sono stati presentati ieri a Roma al convegno "Arteterapia e carcere"; il progetto sperimentale è stato promosso da Sebastiano Ardita e da Bruna Brunetti del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) del ministero di Giustizia, e presentato dal professor Vittorino Andreoli. L’esperimento, coordinato dal dottor Daniele Berto coinvolgendo a Padova 150 detenuti, è stato reso possibile grazie al dottor Carmelo Cantone, all’epoca direttore del Due Palazzi (attualmente a Rebibbia) e dal suo successore Salvatore Pirruccio.
I detenuti sono stati accompagnati alla scoperta di una nuova forma di linguaggio: il linguaggio del disegno e della scultura che, come ha spiegato Andreoli, è una forma di espressione che va privilegiata in una società tutta incentrata sul linguaggio parlato e scritto. I detenuti (di cui quasi il 40% extracomunitari) di età media di 35 anni e un passato di tossicodipendenza e alcolismo, dovevano esprimere i loro disagi attraverso il disegno e la scultura. Le loro opere, decodificate da esperti, hanno evidenziato il percorso introspettivo degli autori. Alla fine i detenuti tornati in libertà, secondo quanto riferito dagli esperti, hanno avuto un miglior rapporto con il Sert nella delicata fase della prosecuzione delle cure.
La letteratura scientifica considera ormai la tossicodipendenza come un fenomeno prodotto da più fattori convergenti, di natura psicologica, educativa, sociale e culturale. Il fattore di rischio più determinante è individuato nella frattura precoce con il mondo emozionale. L’Arteterapia, secondo gli esperti, ha dato risultati così importanti perché disegno e colore rispondono al bisogno del tossicodipendente di entrare in contatto con il suo mondo emozionale mentre trasformare il "tempo di pena" in "tempo di vita" ha portato ricadute positive.
Nel carcere, l’Arteterapia si configura come uno spazio mentale vitale; è di facile applicazione e dunque può essere utilizzata a favore di qualsiasi soggetto tossicodipendente a prescindere dalla cultura, dallo status sociale e dalle provenienza: gli stranieri, in particolare, sono agevolati perché con questo tipo di terapia non devono superare l’ostacolo della lingua.
Fonte: http://www.ristretti.it/areestudio/droghe/progetti/arteterapia.html
Forma e colore entrano in carcere.E il tossicodipendente scopre se stesso
Arteterapia: dialogo stretto di procedure e teoria artistica con le ricerche della psicoanalisi e la tradizione clinica della psicologia.
In carcere, fra i tossicodipendenti, un calo del 20 per cento di tentativi di suicidio e atti di autolesionismo. E più disponibilità al recupero anche dopo la carcerazione. Tutto per merito di un barattolo di colore. I segnali positivi vengono da due carceri, quello di Viterbo e quello di Padova, dove è stato attuato per tre anni, per la prima volta al mondo, un progetto di Arteterapia voluto dal consigliere dottor Sebastiano Ardita e dalla dottoressa Bruna Brunetti del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) del Ministero di Giustizia. La tecnica che ha portato la speranza in carcere, utilizza forme e colore come terapia per aiutare il tossicodipendente detenuto ad esprimere il proprio vissuto e i propri sentimenti. “Il linguaggio di forma e colore – dice lo psichiatra Vittorino Andreoli – va privilegiato in una Società tutta incentrata sul linguaggio parlato e scritto”. “In primo luogo – dice l’arteterapeuta Achille De Gregorio – abbiamo messo il detenuto nella possibilità di sostenere un lavoro introspettivo e di regolazione delle emozioni, sostenuto in questo dall’arteterapeuta e dallo staff psico-educativo. In secondo luogo, abbiamo posto il detenuto nella condizione di visualizzare pensieri e sentimenti, desideri ed aspirazioni senza l’uso della parola. Abbiamo privilegiato lo strumento dell’immagine come sostituto della parola per una serie di motivi: la constatazione che gran parte dei tossicodipendenti detenuti sono extracomunitari e quindi con evidenti difficoltà di comunicazione verbale; la considerazione che nel soggetto tossicodipendente, extracomunitario e non, agisce un complesso meccanismo di difesa che ostacola la riabilitazione. L’Arteterapia permette di aggirare i meccanismi di difesa, pur rispettandoli, aprendo possibilità di dialogo senza che ci si senta minacciati o spiati. E’ la forza dell’arte che se tanto rivela altrettanto nasconde”.“Un barattolo di colore costa meno di un antidepressivo. La ricerca – dice il dottor Alfredo De Risio, psicoterapeuta e coordinatore scientifico del progetto – effettuata, previo consenso informato, nelle due realtà penitenziarie di Viterbo e Padova su un campione di 300 detenuti, rappresentativo della totalità della popolazione tossicodipendente reclusa, ha posto l'accento sullo strumento dell'Arteterapia, supportato da precise metodologie psicodiagnostiche e di intervento psicologico. L'atelier di Arteterapia inserito in questo contesto è stato di supporto all'individuo in difficoltà, mettendolo in condizione di confrontarsi e facendolo sentire contenuto e contenente”.I risultati positivi, ottenuti nel carcere di Viterbo sono stati illustrati dalla dottoressa Anna Rita Giaccone, direttore del Ser.t. di Viterbo dove ha preso le prime mosse l’esperimento. Una scommessa vinta a Viterbo come pure nel carcere di Padova, come ha riferito al Convegno il dottor Daniele Berto, responsabile U.F. Carcere ASL n. 16 di Padova il quale ha detto che: “I risultati dell’esperimento con l’Arteterapia nel carcere di Padova, sono stati positivi. Siamo ancora nella fase preliminare dell’analisi ma si può dire che sono diminuiti i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo. Questo è avvenuto principalmente nei detenuti tossicodipendenti al di sotto dei 35 anni. La ricerca ha anche evidenziato che i detenuti tornati in libertà hanno avuto un miglior rapporto con il Ser.T. nella delicata fase della prosecuzione delle cure”. “L’arte – ha detto il professor Sergio De Risio dell’Università Cattolica – può diventare un’importante occasione per favorire la riabilitazione e la socializzazione dei detenuti. In particolare attraverso l’immagine, adeguatamente interpretata, è possibile facilitare l’espressione e la comunicazione delle ansie e delle problematiche psicologiche del detenuto”.
Intervista a Vittorino Andreoli - Psichiatra
Forma e colore come terapia. Una modalità che va privilegiata e alla quale va prestata la massima attenzione in una Società del linguaggio parlato e scritto”. Sono parole del professor Vittorino Andreoli, psichiatra, che ha aperto il Convegno a Roma su “Arteterapia e carcere” con una lettura magistrale su “La comunicazione silenziosa in carcere”.
Forma e colore in una Società del linguaggio parlato e scritto. E in carcere forma e colore vengono utilizzati come terapia nei confronti dei tossicodipendenti. Nel carcere è ancora più importante. E questo perché nel chiuso di un Istituto di pena le comunicazioni non verbali hanno un particolare valore perché permettono di dialogare senza parlare. Nel carcere è meglio star zitti. Anche il parlare può essere pericoloso. Basta una parola di troppo per crearsi un problema con il vicino, con altri detenuti anche non vicini o anche con chi ha il compito di sorvegliare. Le parole possono andare in rotta di collisione con qualche norma del regolamento. E’ ben noto che nel carcere è nata storicamente la comunicazione pittorica e grafica. E’ nel 1860 che si comincia a dare attenzione a forma e colore. L’avvio è rappresentato dalla “lettura” del linguaggio dei bambini attraverso i loro disegni, il primo è Aldo Venturi. E poi la Scuola positiva di Lombroso che più tardi pone l’accento sulla “lettura” dei linguaggi non verbali. E arriviamo ai matti, che non erano detenuti in carcere ma erano detenuti in ospedale. Grande interesse per il linguaggio non verbale dei bambini che hanno i genitori come carcerieri . E in modo particolare, come il Convegno di Roma dimostra, in carcere, dove ci sono i carcerieri veri.
Quindi è importante aver introdotto in carcere forma e colore con un criterio nuovo di aiuto al detenuto, nel caso particolare tossicodipendente?
Mi sembra che sia un’idea da perseguire. L’idea della comunicazione non verbale che privilegia il disegno, i graffiti e quanto altro sia espressione.
Intervista a Achille De Gregorio Arteterapeuta di Milano
Cos’è l’Arteterapia? La domanda è per il Maestro Achille De Gregorio, arteterapeuta, supervisore del progetto “Arteterapia e carcere”, direttore della Scuola di Specializzazione in Arteterapia “ArTeA” di Pavia.
Per capire l’Arteterapia è necessario conoscere il linguaggio grafico-plastico (disegno, pittura, scultura, foto) e accettare il suo codice comunicativo, perché entrambi fondamentali e utilizzati nella relazione di cura.Una premessa doverosa è dire che poco ha a che fare con quelle attività espressive tradizionalmente usate nelle situazioni d’intrattenimento sociale: pedagogia artistica, animazione creativa, performances artistiche, esposizioni di svantaggiati, scoperta di talenti, cultura dell’art brut, psicopatologia dell’espressione.
Ma allora, dottor De Gregorio, cosa è l’Arteterapia?
E’ una disciplina definita terapeutica perché coniuga le procedure e teoria artistica con le ricerche della psicoanalisi e la tradizione clinica della psicologia. Integrare l’arte con la psicologia o con la pedagogia, con l’antropologia o con la comunicazione non verbale in una nuova disciplina. Una sintesi complessa che prefigura una nuova figura professionale, clinica e artistica, per intervenire a favore della persona in difficoltà.
Come nasce?
Si precisa alla fine degli anni ‘40-‘50 nei Paesi anglosassoni, ma potremmo risalire alle origini confuse e fuorvianti dei laboratori espressivi nei manicomi europei già dall’inizio del 1900. Opinione comune è collocarla per alcuni decenni soprattutto nell’area dell’handicap e della psichiatria.Alla fine degli anni ’80, in Italia, si comincia ad applicarla nell’area dell’emarginazione sociale e con i tossicodipendenti, con altre nuove utenze, quali ammalati di Aids, oncologici, minori a rischio, disturbi alimentari, cardiopatici, affetti da Alzheimer.
E si arriva al carcere.
Si, si arriva all'Arteterapia nel carcere. Ci sono stati in tal senso sporadici esperimenti in Gran Bretagna, e in Italia nel carcere di Monza e in quello di Como. Si trattava di pionerismo. Altra importanza ha il progetto, concreto, di ricerca e su base scientifica, che ci vede protagonisti, coordinati dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.), e che viene presentato al Convegno di Roma. Una grande occasione per applicare e validare l’Arteterapia come strumento di diagnosi e di trattamento per oltre 300 detenuti.Il progetto ha riguardato per l’80% tossicodipendenti ma sono stati inseriti nei gruppi anche alcolisti e detenuti con particolari problemi.
Quale lo scopo?
Un progetto triennale basato sull’intervento diretto con i detenuti, allo scopo di verificare le specificità utili dell’Arteterapia come attività trattamentale nelle carceri italiane. Inoltre, ha significato anche formare gli operatori delle carceri (agenti di polizia penitenziaria, psicologi, educatori) a questo nuovo trattamento; ed infine, creare le condizioni per la continuità della proposta negli impieghi futuri, per i tossicodipendenti e gli alcolisti, sul territorio e in integrazione con i servizi delle ASL.
In particolare, per quanto riguarda il tossicodipendente detenuto?
In primo luogo abbiamo messo il detenuto nella possibilità di sostenere un lavoro introspettivo e di regolazione delle emozioni, sostenuto in questo dall’arteterapeuta e dallo staff psico-educativo. In secondo luogo, posto il detenuto nella condizione di visualizzare pensieri e sentimenti, desideri ed aspirazioni senza l’uso della parola. Abbiamo privilegiato lo strumento dell’immagine come sostituto della parola per una serie di motivi. La constatazione che gran parte dei tossicodipendenti detenuti sono extracomunitari, quindi con evidenti difficoltà di comunicazione verbale. La considerazione che nel soggetto tossicodipendente, extracomunitario e non, agisce un complesso meccanismo di difesa che ostacola la riabilitazione. L’Arteterapia permette di aggirare i meccanismi di difesa, pur rispettandoli, aprendo possibilità di dialogo senza che ci si senta minacciati o spiati. E’ la forza dell’arte che se tanto rivela altrettanto nasconde.
A cosa serve, al soggetto in trattamento, l’Arteterapia?
Il detenuto, in quest’approccio, ha la possibilità di guardarsi dentro e mettere a fuoco le immagini interne “usando le mani” per concretizzare i propri pensieri. Ha la possibilità di rendere visibile agli altri l’immaginario, attraverso l’immagine, con i disegni, i dipinti, i collage, le sculture, i graffiti. Aggirando la tendenza al non voler dire o al non farsi capire, al mistificare o al commediare, possiamo avviare interventi di riabilitazione o di psicoterapia. L’Arteterapia come potente mezzo che mette a fuoco e rende visibili i pensieri aiuta il detenuto a farsi consapevole e accettare la relazione d’aiuto.
Quale il percorso?
Questo progetto ha visto un’iniziale fase di progettazione e di selezione con l’utilizzo di test per la individuazione dei 300 detenuti che sono stati coinvolti. Il singolo detenuto è stato, successivamente, seguito sia in incontri di “gruppo propedeutico” condotti da psicologi o da medici con terapie verbali, sia, nel laboratorio d’Arteterapia gestito dagli arteterapeuti. Entrambe le fasi hanno compreso ogni quindici giorni la supervisione, sull'Arteterapia e i detenuti e sull’andamento del progetto.La fase finale ha previsto il retesting dei detenuti e la rielaborazione dei risultati tra tutti gli operatori coinvolti.
Cosa si “tira fuori” dal soggetto in trattamento?
Emerge un puzzle d’immagini che descrive la personalità intera dell’individuo. Emergono fatti salienti, episodi del passato e dell’infanzia. Osserviamo nelle immagini e nelle sculture il vissuto del carcere, le dinamiche relazionali, la cella, la solitudine, l’aggressività, la sessualità, l’angoscia, ecc. Ragionando su manufatti e visioni abbiamo accesso alle paure concrete e alle aspirazioni irrealizzabili del soggetto; come si prefigura il futuro, cosa lo aspetta fuori, gli affetti che non troverà, il lavoro, la ricaduta nello spaccio, ecc.
E quindi favorisce il recupero?
Certamente. Si è notato in questo progetto che quando il trattamento del detenuto comprende diverse figure e diversi approcci, arteterapeutico, psico-educativo, la relazione d’aiuto si fa più vera, e diventa più profonda riuscendo ad aprire varchi per elaborare pensieri indicibili o storie nascoste dalla colpa. Ecco perché è importante l’Arteterapia in carcere .
Intervista a Sergio De Risio Ordinario Istituto di Psichiatria e Psicologia alla “Cattolica” di Roma
Arte come terapia. Ma non solo. L’arte può diventare un’importante occasione per favorire la riabilitazione e la socializzazione dei detenuti. In particolare attraverso l’immagine, adeguatamente interpretata, è possibile facilitare l’espressione e la comunicazione delle ansie e delle problematiche psicologiche del detenuto. Ne parliamo con il professor Sergio De Risio, direttore dell’Istituto di Psichiatria dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma.
Quale l’importanza e la valenza terapeutica dell’espressione artistica per i detenuti?
I detenuti vivono una forte privazione di relazioni significative e anche spontaneamente, se hanno inclinazioni artistiche, tendono a cercare nel disegno o in altre forme espressive, un canale di comunicazione per superare l’ansia legata alla condizione carceraria.
Nel caso degli esperimenti al centro del Convegno, il singolo individuo è invitato ad esprimersi attraverso l’immagine. Questo aiuta i detenuti?
Certamente. E’ quindi importante creare in carcere la possibilità di avere a disposizione uno spazio in cui il detenuto possa disegnare sotto lo sguardo attento di uno psicoterapeuta, in grado di interpretare forme e colori.
Come si svolge una seduta di Arteterapia?
Lo psicoterapeuta invita le persone a disegnare liberamente, senza suggerire alcun tema, proprio per lasciare spazio all’emergere di nuclei di sofferenza e di angoscia più o meno consapevoli e che a volte sono almeno in parte responsabili del crimine commesso. Il fatto di poter esprimere queste problematiche è già di per sé catartico ma è ancora più significativo se avviene alla presenza di uno psicoterapeuta che incoraggia tutti ad esprimersi, anche se non hanno particolari doti artistiche. Essenziale anche la possibilità di spiegare e interpretare quello che viene disegnato. Anche chi non disegna viene invitato a commentare e ad esprimere le sensazioni legate al disegno fatto dagli altri.
E’ importante il ruolo del gruppo?
Si, anche perché favorisce la risocializzazione, aiuta i detenuti a sentirsi meno esclusi, a ritrovare il piacere di avere contatti con altre persone. Magari anche a prendere per la prima volta una matita o dei colori per fare un disegno, proprio come fanno i compagni di cella, che sono uno dei pochi punti di riferimento in una situazione di reclusione. Questo serve molto a migliorare la vita in carcere, a promuovere scambi relazionali, agevolando, poi, il reinserimento nella Società dopo che si è scontata la pena. L’Arteterapia aiuta i detenuti a ritrovare la libertà di esprimersi e a uscire dall’isolamento, ristabilendo rapporti con gli altri.
Perché è importante usare le immagini, il disegno?
Perché costituiscono un mezzo di comunicazione immediata e favoriscono la proiezione di contenuti inconsci, proprio come le immagini che illustrano i nostri sogni. Le parole richiedono invece un’elaborazione intellettuale notevole, anche se poi è proprio attraverso le parole dello psicoterapeuta che si ritrova il senso più profondo dei disegni. In particolare viene prestata attenzione alle forme e all’uso del colore e a come viene disegnato l’oggetto. Minore poi è la capacità “tecnica” cioè l’abilità nel disegnare e più affiorano i contenuti, le sofferenze interne. Pensiamo anche al fatto che alcuni test proiettivi spesso si basano proprio sui disegni, anche se in questo caso non viene chiesto di disegnare un albero o la propria famiglia ma il soggetto è libero.
L’Arteterapia può essere applicata anche in altri casi di disagio?
Si, può essere un valido strumento terapeutico anche in varie patologie psichiatriche anche gravi. In effetti l’espressione artistica è in grado di rilevare in ognuno di noi molte più risorse interne di quanto pensiamo coscientemente. E’ in grado di attivare linguaggi diversi da quello verbale, come del resto sa bene l’artista che attraverso i suoi disegni trova naturalmente una sua forma di autoterapia. L’Arteterapia è molto utile per psicotici, schizofrenici e persone che soffrono di anoressia.
Fonte: http://www.salute-7.it/primopiano.html
Uno studio nelle carceri di Padova e Viterbo
Gazzetta del Mezzogiorno, 5 dicembre 2002
I detenuti delle carceri di Viterbo e Padova riscoprono i colori della vita col disegno e l’arteterapia: dopo tre anni di attività sono diminuiti del 20% i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo. È quanto è emerso a Roma al convegno "Arteterapia e carcere" in cui sono stati illustrati i risultati del progetto sperimentale, voluto da Sebastiano Ardita e da Bruna Brunetti del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) del Ministero di Giustizia, e presentato dal prof. Vittorino Andreoli.
Per la prima volta nel mondo viene attuato un progetto di questo tipo, secondo quanto hanno spiegato gli esperti, in cui i detenuti scoprono una nuova forma di linguaggio. Il linguaggio del disegno e della scultura che, come ha spiegato lo psichiatra Vittorino Andreoli, è una forma di espressione che va privilegiata in una società tutta incentrata sul linguaggio parlato e scritto.
L’esperimento pilota ha coinvolto 300 detenuti delle carceri di Viterbo e Padova. L’esperimento è stato un successo, secondo il commento della dottoressa Anna Rita Giaccone della Asl di Viterbo la quale ha espresso la speranza che tale progetto continui nel tempo e sia esteso ad altre carceri.
Colori per dimenticare il tempo della droga
Il Mattino di Padova, 5 dicembre 2002
Sono i detenuti tossicodipendenti del carcere di Padova, assieme a quelli di Viterbo, i protagonisti di un esperimento che non ha precedenti al mondo: grazie all’arteterapia, a un barattolo di colori e al disegno, hanno dato un nuovo senso alla vita. Dopo tre anni di attività, tra di loro sono diminuiti del 20% i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo.
I risultati della ricerca sono stati presentati ieri a Roma al convegno "Arteterapia e carcere"; il progetto sperimentale è stato promosso da Sebastiano Ardita e da Bruna Brunetti del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) del ministero di Giustizia, e presentato dal professor Vittorino Andreoli. L’esperimento, coordinato dal dottor Daniele Berto coinvolgendo a Padova 150 detenuti, è stato reso possibile grazie al dottor Carmelo Cantone, all’epoca direttore del Due Palazzi (attualmente a Rebibbia) e dal suo successore Salvatore Pirruccio.
I detenuti sono stati accompagnati alla scoperta di una nuova forma di linguaggio: il linguaggio del disegno e della scultura che, come ha spiegato Andreoli, è una forma di espressione che va privilegiata in una società tutta incentrata sul linguaggio parlato e scritto. I detenuti (di cui quasi il 40% extracomunitari) di età media di 35 anni e un passato di tossicodipendenza e alcolismo, dovevano esprimere i loro disagi attraverso il disegno e la scultura. Le loro opere, decodificate da esperti, hanno evidenziato il percorso introspettivo degli autori. Alla fine i detenuti tornati in libertà, secondo quanto riferito dagli esperti, hanno avuto un miglior rapporto con il Sert nella delicata fase della prosecuzione delle cure.
La letteratura scientifica considera ormai la tossicodipendenza come un fenomeno prodotto da più fattori convergenti, di natura psicologica, educativa, sociale e culturale. Il fattore di rischio più determinante è individuato nella frattura precoce con il mondo emozionale. L’Arteterapia, secondo gli esperti, ha dato risultati così importanti perché disegno e colore rispondono al bisogno del tossicodipendente di entrare in contatto con il suo mondo emozionale mentre trasformare il "tempo di pena" in "tempo di vita" ha portato ricadute positive.
Nel carcere, l’Arteterapia si configura come uno spazio mentale vitale; è di facile applicazione e dunque può essere utilizzata a favore di qualsiasi soggetto tossicodipendente a prescindere dalla cultura, dallo status sociale e dalle provenienza: gli stranieri, in particolare, sono agevolati perché con questo tipo di terapia non devono superare l’ostacolo della lingua.
Fonte: http://www.ristretti.it/areestudio/droghe/progetti/arteterapia.html
Forma e colore entrano in carcere.E il tossicodipendente scopre se stesso
Arteterapia: dialogo stretto di procedure e teoria artistica con le ricerche della psicoanalisi e la tradizione clinica della psicologia.
In carcere, fra i tossicodipendenti, un calo del 20 per cento di tentativi di suicidio e atti di autolesionismo. E più disponibilità al recupero anche dopo la carcerazione. Tutto per merito di un barattolo di colore. I segnali positivi vengono da due carceri, quello di Viterbo e quello di Padova, dove è stato attuato per tre anni, per la prima volta al mondo, un progetto di Arteterapia voluto dal consigliere dottor Sebastiano Ardita e dalla dottoressa Bruna Brunetti del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) del Ministero di Giustizia. La tecnica che ha portato la speranza in carcere, utilizza forme e colore come terapia per aiutare il tossicodipendente detenuto ad esprimere il proprio vissuto e i propri sentimenti. “Il linguaggio di forma e colore – dice lo psichiatra Vittorino Andreoli – va privilegiato in una Società tutta incentrata sul linguaggio parlato e scritto”. “In primo luogo – dice l’arteterapeuta Achille De Gregorio – abbiamo messo il detenuto nella possibilità di sostenere un lavoro introspettivo e di regolazione delle emozioni, sostenuto in questo dall’arteterapeuta e dallo staff psico-educativo. In secondo luogo, abbiamo posto il detenuto nella condizione di visualizzare pensieri e sentimenti, desideri ed aspirazioni senza l’uso della parola. Abbiamo privilegiato lo strumento dell’immagine come sostituto della parola per una serie di motivi: la constatazione che gran parte dei tossicodipendenti detenuti sono extracomunitari e quindi con evidenti difficoltà di comunicazione verbale; la considerazione che nel soggetto tossicodipendente, extracomunitario e non, agisce un complesso meccanismo di difesa che ostacola la riabilitazione. L’Arteterapia permette di aggirare i meccanismi di difesa, pur rispettandoli, aprendo possibilità di dialogo senza che ci si senta minacciati o spiati. E’ la forza dell’arte che se tanto rivela altrettanto nasconde”.“Un barattolo di colore costa meno di un antidepressivo. La ricerca – dice il dottor Alfredo De Risio, psicoterapeuta e coordinatore scientifico del progetto – effettuata, previo consenso informato, nelle due realtà penitenziarie di Viterbo e Padova su un campione di 300 detenuti, rappresentativo della totalità della popolazione tossicodipendente reclusa, ha posto l'accento sullo strumento dell'Arteterapia, supportato da precise metodologie psicodiagnostiche e di intervento psicologico. L'atelier di Arteterapia inserito in questo contesto è stato di supporto all'individuo in difficoltà, mettendolo in condizione di confrontarsi e facendolo sentire contenuto e contenente”.I risultati positivi, ottenuti nel carcere di Viterbo sono stati illustrati dalla dottoressa Anna Rita Giaccone, direttore del Ser.t. di Viterbo dove ha preso le prime mosse l’esperimento. Una scommessa vinta a Viterbo come pure nel carcere di Padova, come ha riferito al Convegno il dottor Daniele Berto, responsabile U.F. Carcere ASL n. 16 di Padova il quale ha detto che: “I risultati dell’esperimento con l’Arteterapia nel carcere di Padova, sono stati positivi. Siamo ancora nella fase preliminare dell’analisi ma si può dire che sono diminuiti i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo. Questo è avvenuto principalmente nei detenuti tossicodipendenti al di sotto dei 35 anni. La ricerca ha anche evidenziato che i detenuti tornati in libertà hanno avuto un miglior rapporto con il Ser.T. nella delicata fase della prosecuzione delle cure”. “L’arte – ha detto il professor Sergio De Risio dell’Università Cattolica – può diventare un’importante occasione per favorire la riabilitazione e la socializzazione dei detenuti. In particolare attraverso l’immagine, adeguatamente interpretata, è possibile facilitare l’espressione e la comunicazione delle ansie e delle problematiche psicologiche del detenuto”.
Intervista a Vittorino Andreoli - Psichiatra
Forma e colore come terapia. Una modalità che va privilegiata e alla quale va prestata la massima attenzione in una Società del linguaggio parlato e scritto”. Sono parole del professor Vittorino Andreoli, psichiatra, che ha aperto il Convegno a Roma su “Arteterapia e carcere” con una lettura magistrale su “La comunicazione silenziosa in carcere”.
Forma e colore in una Società del linguaggio parlato e scritto. E in carcere forma e colore vengono utilizzati come terapia nei confronti dei tossicodipendenti. Nel carcere è ancora più importante. E questo perché nel chiuso di un Istituto di pena le comunicazioni non verbali hanno un particolare valore perché permettono di dialogare senza parlare. Nel carcere è meglio star zitti. Anche il parlare può essere pericoloso. Basta una parola di troppo per crearsi un problema con il vicino, con altri detenuti anche non vicini o anche con chi ha il compito di sorvegliare. Le parole possono andare in rotta di collisione con qualche norma del regolamento. E’ ben noto che nel carcere è nata storicamente la comunicazione pittorica e grafica. E’ nel 1860 che si comincia a dare attenzione a forma e colore. L’avvio è rappresentato dalla “lettura” del linguaggio dei bambini attraverso i loro disegni, il primo è Aldo Venturi. E poi la Scuola positiva di Lombroso che più tardi pone l’accento sulla “lettura” dei linguaggi non verbali. E arriviamo ai matti, che non erano detenuti in carcere ma erano detenuti in ospedale. Grande interesse per il linguaggio non verbale dei bambini che hanno i genitori come carcerieri . E in modo particolare, come il Convegno di Roma dimostra, in carcere, dove ci sono i carcerieri veri.
Quindi è importante aver introdotto in carcere forma e colore con un criterio nuovo di aiuto al detenuto, nel caso particolare tossicodipendente?
Mi sembra che sia un’idea da perseguire. L’idea della comunicazione non verbale che privilegia il disegno, i graffiti e quanto altro sia espressione.
Intervista a Achille De Gregorio Arteterapeuta di Milano
Cos’è l’Arteterapia? La domanda è per il Maestro Achille De Gregorio, arteterapeuta, supervisore del progetto “Arteterapia e carcere”, direttore della Scuola di Specializzazione in Arteterapia “ArTeA” di Pavia.
Per capire l’Arteterapia è necessario conoscere il linguaggio grafico-plastico (disegno, pittura, scultura, foto) e accettare il suo codice comunicativo, perché entrambi fondamentali e utilizzati nella relazione di cura.Una premessa doverosa è dire che poco ha a che fare con quelle attività espressive tradizionalmente usate nelle situazioni d’intrattenimento sociale: pedagogia artistica, animazione creativa, performances artistiche, esposizioni di svantaggiati, scoperta di talenti, cultura dell’art brut, psicopatologia dell’espressione.
Ma allora, dottor De Gregorio, cosa è l’Arteterapia?
E’ una disciplina definita terapeutica perché coniuga le procedure e teoria artistica con le ricerche della psicoanalisi e la tradizione clinica della psicologia. Integrare l’arte con la psicologia o con la pedagogia, con l’antropologia o con la comunicazione non verbale in una nuova disciplina. Una sintesi complessa che prefigura una nuova figura professionale, clinica e artistica, per intervenire a favore della persona in difficoltà.
Come nasce?
Si precisa alla fine degli anni ‘40-‘50 nei Paesi anglosassoni, ma potremmo risalire alle origini confuse e fuorvianti dei laboratori espressivi nei manicomi europei già dall’inizio del 1900. Opinione comune è collocarla per alcuni decenni soprattutto nell’area dell’handicap e della psichiatria.Alla fine degli anni ’80, in Italia, si comincia ad applicarla nell’area dell’emarginazione sociale e con i tossicodipendenti, con altre nuove utenze, quali ammalati di Aids, oncologici, minori a rischio, disturbi alimentari, cardiopatici, affetti da Alzheimer.
E si arriva al carcere.
Si, si arriva all'Arteterapia nel carcere. Ci sono stati in tal senso sporadici esperimenti in Gran Bretagna, e in Italia nel carcere di Monza e in quello di Como. Si trattava di pionerismo. Altra importanza ha il progetto, concreto, di ricerca e su base scientifica, che ci vede protagonisti, coordinati dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.), e che viene presentato al Convegno di Roma. Una grande occasione per applicare e validare l’Arteterapia come strumento di diagnosi e di trattamento per oltre 300 detenuti.Il progetto ha riguardato per l’80% tossicodipendenti ma sono stati inseriti nei gruppi anche alcolisti e detenuti con particolari problemi.
Quale lo scopo?
Un progetto triennale basato sull’intervento diretto con i detenuti, allo scopo di verificare le specificità utili dell’Arteterapia come attività trattamentale nelle carceri italiane. Inoltre, ha significato anche formare gli operatori delle carceri (agenti di polizia penitenziaria, psicologi, educatori) a questo nuovo trattamento; ed infine, creare le condizioni per la continuità della proposta negli impieghi futuri, per i tossicodipendenti e gli alcolisti, sul territorio e in integrazione con i servizi delle ASL.
In particolare, per quanto riguarda il tossicodipendente detenuto?
In primo luogo abbiamo messo il detenuto nella possibilità di sostenere un lavoro introspettivo e di regolazione delle emozioni, sostenuto in questo dall’arteterapeuta e dallo staff psico-educativo. In secondo luogo, posto il detenuto nella condizione di visualizzare pensieri e sentimenti, desideri ed aspirazioni senza l’uso della parola. Abbiamo privilegiato lo strumento dell’immagine come sostituto della parola per una serie di motivi. La constatazione che gran parte dei tossicodipendenti detenuti sono extracomunitari, quindi con evidenti difficoltà di comunicazione verbale. La considerazione che nel soggetto tossicodipendente, extracomunitario e non, agisce un complesso meccanismo di difesa che ostacola la riabilitazione. L’Arteterapia permette di aggirare i meccanismi di difesa, pur rispettandoli, aprendo possibilità di dialogo senza che ci si senta minacciati o spiati. E’ la forza dell’arte che se tanto rivela altrettanto nasconde.
A cosa serve, al soggetto in trattamento, l’Arteterapia?
Il detenuto, in quest’approccio, ha la possibilità di guardarsi dentro e mettere a fuoco le immagini interne “usando le mani” per concretizzare i propri pensieri. Ha la possibilità di rendere visibile agli altri l’immaginario, attraverso l’immagine, con i disegni, i dipinti, i collage, le sculture, i graffiti. Aggirando la tendenza al non voler dire o al non farsi capire, al mistificare o al commediare, possiamo avviare interventi di riabilitazione o di psicoterapia. L’Arteterapia come potente mezzo che mette a fuoco e rende visibili i pensieri aiuta il detenuto a farsi consapevole e accettare la relazione d’aiuto.
Quale il percorso?
Questo progetto ha visto un’iniziale fase di progettazione e di selezione con l’utilizzo di test per la individuazione dei 300 detenuti che sono stati coinvolti. Il singolo detenuto è stato, successivamente, seguito sia in incontri di “gruppo propedeutico” condotti da psicologi o da medici con terapie verbali, sia, nel laboratorio d’Arteterapia gestito dagli arteterapeuti. Entrambe le fasi hanno compreso ogni quindici giorni la supervisione, sull'Arteterapia e i detenuti e sull’andamento del progetto.La fase finale ha previsto il retesting dei detenuti e la rielaborazione dei risultati tra tutti gli operatori coinvolti.
Cosa si “tira fuori” dal soggetto in trattamento?
Emerge un puzzle d’immagini che descrive la personalità intera dell’individuo. Emergono fatti salienti, episodi del passato e dell’infanzia. Osserviamo nelle immagini e nelle sculture il vissuto del carcere, le dinamiche relazionali, la cella, la solitudine, l’aggressività, la sessualità, l’angoscia, ecc. Ragionando su manufatti e visioni abbiamo accesso alle paure concrete e alle aspirazioni irrealizzabili del soggetto; come si prefigura il futuro, cosa lo aspetta fuori, gli affetti che non troverà, il lavoro, la ricaduta nello spaccio, ecc.
E quindi favorisce il recupero?
Certamente. Si è notato in questo progetto che quando il trattamento del detenuto comprende diverse figure e diversi approcci, arteterapeutico, psico-educativo, la relazione d’aiuto si fa più vera, e diventa più profonda riuscendo ad aprire varchi per elaborare pensieri indicibili o storie nascoste dalla colpa. Ecco perché è importante l’Arteterapia in carcere .
Intervista a Sergio De Risio Ordinario Istituto di Psichiatria e Psicologia alla “Cattolica” di Roma
Arte come terapia. Ma non solo. L’arte può diventare un’importante occasione per favorire la riabilitazione e la socializzazione dei detenuti. In particolare attraverso l’immagine, adeguatamente interpretata, è possibile facilitare l’espressione e la comunicazione delle ansie e delle problematiche psicologiche del detenuto. Ne parliamo con il professor Sergio De Risio, direttore dell’Istituto di Psichiatria dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma.
Quale l’importanza e la valenza terapeutica dell’espressione artistica per i detenuti?
I detenuti vivono una forte privazione di relazioni significative e anche spontaneamente, se hanno inclinazioni artistiche, tendono a cercare nel disegno o in altre forme espressive, un canale di comunicazione per superare l’ansia legata alla condizione carceraria.
Nel caso degli esperimenti al centro del Convegno, il singolo individuo è invitato ad esprimersi attraverso l’immagine. Questo aiuta i detenuti?
Certamente. E’ quindi importante creare in carcere la possibilità di avere a disposizione uno spazio in cui il detenuto possa disegnare sotto lo sguardo attento di uno psicoterapeuta, in grado di interpretare forme e colori.
Come si svolge una seduta di Arteterapia?
Lo psicoterapeuta invita le persone a disegnare liberamente, senza suggerire alcun tema, proprio per lasciare spazio all’emergere di nuclei di sofferenza e di angoscia più o meno consapevoli e che a volte sono almeno in parte responsabili del crimine commesso. Il fatto di poter esprimere queste problematiche è già di per sé catartico ma è ancora più significativo se avviene alla presenza di uno psicoterapeuta che incoraggia tutti ad esprimersi, anche se non hanno particolari doti artistiche. Essenziale anche la possibilità di spiegare e interpretare quello che viene disegnato. Anche chi non disegna viene invitato a commentare e ad esprimere le sensazioni legate al disegno fatto dagli altri.
E’ importante il ruolo del gruppo?
Si, anche perché favorisce la risocializzazione, aiuta i detenuti a sentirsi meno esclusi, a ritrovare il piacere di avere contatti con altre persone. Magari anche a prendere per la prima volta una matita o dei colori per fare un disegno, proprio come fanno i compagni di cella, che sono uno dei pochi punti di riferimento in una situazione di reclusione. Questo serve molto a migliorare la vita in carcere, a promuovere scambi relazionali, agevolando, poi, il reinserimento nella Società dopo che si è scontata la pena. L’Arteterapia aiuta i detenuti a ritrovare la libertà di esprimersi e a uscire dall’isolamento, ristabilendo rapporti con gli altri.
Perché è importante usare le immagini, il disegno?
Perché costituiscono un mezzo di comunicazione immediata e favoriscono la proiezione di contenuti inconsci, proprio come le immagini che illustrano i nostri sogni. Le parole richiedono invece un’elaborazione intellettuale notevole, anche se poi è proprio attraverso le parole dello psicoterapeuta che si ritrova il senso più profondo dei disegni. In particolare viene prestata attenzione alle forme e all’uso del colore e a come viene disegnato l’oggetto. Minore poi è la capacità “tecnica” cioè l’abilità nel disegnare e più affiorano i contenuti, le sofferenze interne. Pensiamo anche al fatto che alcuni test proiettivi spesso si basano proprio sui disegni, anche se in questo caso non viene chiesto di disegnare un albero o la propria famiglia ma il soggetto è libero.
L’Arteterapia può essere applicata anche in altri casi di disagio?
Si, può essere un valido strumento terapeutico anche in varie patologie psichiatriche anche gravi. In effetti l’espressione artistica è in grado di rilevare in ognuno di noi molte più risorse interne di quanto pensiamo coscientemente. E’ in grado di attivare linguaggi diversi da quello verbale, come del resto sa bene l’artista che attraverso i suoi disegni trova naturalmente una sua forma di autoterapia. L’Arteterapia è molto utile per psicotici, schizofrenici e persone che soffrono di anoressia.
Fonte: http://www.salute-7.it/primopiano.html
Gocce di colore e pillole di creatività...
E'il gioco, e non l'ordine,
l'arteria centrale, il nucleo, la radice della vita creativa.
Senza gioco non c'è vita creativa.
Pinkola
l'arteria centrale, il nucleo, la radice della vita creativa.
Senza gioco non c'è vita creativa.
Pinkola
Il creativo non rifugge dal non-essere,
ma scontrandosi e lottando con esso
lo costringe a produrre l'essere.
Spreme il silenzio per trarne musica;
prosegue l'insignificante fino a costringerlo a significare.
Rollo May
ma scontrandosi e lottando con esso
lo costringe a produrre l'essere.
Spreme il silenzio per trarne musica;
prosegue l'insignificante fino a costringerlo a significare.
Rollo May
Creando potevo guarire,
creando ritrovavo la salute.
Kirkegaard
Dove va la mano là seguono gli occhi.
Dove guardano gli occhi là si dirige la mente.
Dove posa la mente là nasce l'emozione.
Dove palpita l'emozione là si realizza l'essenza dell'arte.
(Abhy Naya Darpana, trattato indiano)
La mia arte è in realtà una confessione fatta spontaneamente,un tentativo di chiarire a me stesso in che relazione sto con la vita.Fondamentale una specie di egoismo, ma non perdo la speranzache grazie ad essa riuscirò ad aiutare altri a vedere più chiaro.
Edward Munch
Bisogna partire dal centro, rispondeva Picasso a chi gli domandava di descrivere il suo modo di dipingere. I bambini, quando disegnano, non si pongono alcuna domanda e cominciano naturalmente, a caso, spesso proprio dal centro del foglio. Più tardi la loro mano sarà guidata da un condizionamento scolastico, familiare e mediatico, che impone regole e risultati prestabiliti. Dopo la perdita di questa spontaneità lo spazio del disegno (e l'esistenza) diviene più estraneo e fitto d’insidie, la festa è finita.
“Per diventare bambini occorre una vita”
Picasso
Picasso
Mi entusiasmo anche nel vedere che il cielo è blu, che la terra è terra, semplicemente. È questa la cosa più difficile: vedere una roccia e vederla così com'è, una roccia color terra. Mi ci sto avvicinando a poco a poco. Poi giunge un momento nella vita in cui si esce a fare una passeggiata, semplicemente. E si cammina nel proprio paesaggio.
Willem de Kooning
La bellezza, la vera bellezza, finisce là dove comincia l’espressione dell’intelletto. L’intelletto è di per sè stesso, una sorta di eccedenza che distrugge l’armonia di un volto. Appena uno si mette a pensare tutto diventa naso, o tutto fronte, insomma qualcosa di orribile.
O. Wilde
La poesia è la casa dell’essere, il poeta è il pastore dell’essere.
La pittura è una bugia che dice la verità.
Picasso
Stanze
Salgo a bordo dell’inquieto sentire, in punta di piedi attraverso cromatiche stanze dell’essere.
Furenti mi accolgono e beffarde sirene mi ammaliano: scavalco l’onda veemente e d’incanto mi bagno, di immenso mi macchio... e tacitamente tremo.
Grida graffianti mi avvolgono e gocce di allucinata polarità mi piovono dentro, umide e scintillanti come fluidi d’essenza caramellata e fiele pungente in corsa ripida sulla pelle rabbrividita e densa...
Ego imperante schiaffeggia l’obliato silenzio... ruvide mi inondano emozioni sporche e silenti, e gocciolo primitiva ingenuità sui passi nudi e fondenti.
Da una finestra correnti tiepide e folte e sfumature di respiro mi spettinano un ingenuo sentire, e come soffi mi sospingono verso il centro, tra palpebre spigolose e ipnotiche valli vellutate, visioni... dal cuore di fronti corrugate, e convulse si contraggono e sopite si trattengono, sanguigne e fresche, agganciante ad esche saporite e gustose.
Fluidi accecanti scivolano giù per gole bruciate, e filamenti d’oro schizzano via dal sentiero muschioso... nutrizione... mentre mi accuccio e una dolce mano mi si tende... zucchero, nella culla ondulante del grembo pulsante... Bum... bum... bum... schegge taglienti spruzzano nel fondo infinito di sfumature notturne... dal buio emergono cuori velati... bum... bum... bum... la scarnificata fecondazione smuove le aride terre su cui avidi ed edonistici passi scolpiscono orme di gravida vita.
Un vulcano sommerso erutta arcobaleni fumanti, la crosta trema, un vaso si infrange e il terrore afferra la gola stordita... ma poi silenzio... e fiori sbocciano purpurei e pastosi... credo demoni e invece inciampo in ciottoli carnosi. Smeraldo sinuoso e sottile, dalla lingua biforcuta e provocante, mi striscia dinanzi mentre scivolo sulla tela notturna, soffio via fumi argentei e nebbie incensate... alle mie spalle le gelide raffiche si accucciano entro nidi curati e si spargono tra le foglie... la notte artica si scioglie al tepore di una timida aurora, decorata di petali succosi e respiri profondi... e a piedi nudi calpesto il madido prato.
Vortici, vortici di sfumature mi risucchiano veloce, e precipito giù, trascinando con me uno stelo piumoso, fluttuando nell’ignoto e nell’inquieto sentire... Risonanza... risonanza di sussurri e grida di senso... atterro su membra note e ricche di desiderio... dischiudo gli occhi e come un soffione al vento sfumo... nell’infinito... cammino... qui ed ora.
A Massimo Schito,
Furenti mi accolgono e beffarde sirene mi ammaliano: scavalco l’onda veemente e d’incanto mi bagno, di immenso mi macchio... e tacitamente tremo.
Grida graffianti mi avvolgono e gocce di allucinata polarità mi piovono dentro, umide e scintillanti come fluidi d’essenza caramellata e fiele pungente in corsa ripida sulla pelle rabbrividita e densa...
Ego imperante schiaffeggia l’obliato silenzio... ruvide mi inondano emozioni sporche e silenti, e gocciolo primitiva ingenuità sui passi nudi e fondenti.
Da una finestra correnti tiepide e folte e sfumature di respiro mi spettinano un ingenuo sentire, e come soffi mi sospingono verso il centro, tra palpebre spigolose e ipnotiche valli vellutate, visioni... dal cuore di fronti corrugate, e convulse si contraggono e sopite si trattengono, sanguigne e fresche, agganciante ad esche saporite e gustose.
Fluidi accecanti scivolano giù per gole bruciate, e filamenti d’oro schizzano via dal sentiero muschioso... nutrizione... mentre mi accuccio e una dolce mano mi si tende... zucchero, nella culla ondulante del grembo pulsante... Bum... bum... bum... schegge taglienti spruzzano nel fondo infinito di sfumature notturne... dal buio emergono cuori velati... bum... bum... bum... la scarnificata fecondazione smuove le aride terre su cui avidi ed edonistici passi scolpiscono orme di gravida vita.
Un vulcano sommerso erutta arcobaleni fumanti, la crosta trema, un vaso si infrange e il terrore afferra la gola stordita... ma poi silenzio... e fiori sbocciano purpurei e pastosi... credo demoni e invece inciampo in ciottoli carnosi. Smeraldo sinuoso e sottile, dalla lingua biforcuta e provocante, mi striscia dinanzi mentre scivolo sulla tela notturna, soffio via fumi argentei e nebbie incensate... alle mie spalle le gelide raffiche si accucciano entro nidi curati e si spargono tra le foglie... la notte artica si scioglie al tepore di una timida aurora, decorata di petali succosi e respiri profondi... e a piedi nudi calpesto il madido prato.
Vortici, vortici di sfumature mi risucchiano veloce, e precipito giù, trascinando con me uno stelo piumoso, fluttuando nell’ignoto e nell’inquieto sentire... Risonanza... risonanza di sussurri e grida di senso... atterro su membra note e ricche di desiderio... dischiudo gli occhi e come un soffione al vento sfumo... nell’infinito... cammino... qui ed ora.
A Massimo Schito,
Marta
Vita umida...
A tutti coloro che ogni giorno, mediante la loro lotta, il loro impegno e la propria creatività mi insegnano a toccare e sentire nuove sfumature di vita, nuovi sensi di esistere. Grazie
E’ l’Aria che mi attende. Le andiamo incontro a bordo del nostro sentire, quietamente...ansiosamente.
Falchiamo il tempo, mentre la strada...la strada silente e impetuosa mi corre incontro...scavalcandomi e ingoiandomi. Mi trattengo spaurito all’inquietudine sfuggente del nuovo sentire, affondo le unghie nelle radici del noto, eppur mi sporgo verso le sue scivolose onde che si infrangono nel mio stomaco...una dopo l’altra. E smarrito tremo. E assetato ingoio.
Gli occhi si gonfiano di visioni obliate, sembro immobile nel centro di un ciclone che mi avvolge di vita, eppur sto volando, alto, e dentro di me tutto si sveglia, fragorosamente, all’improvviso.
Come convulso da violente contrazioni uterine, pressato tra le vellutate pareti di cielo e terra, nel respiro del mondo, scivolo... e nell’ingenuità sboccio, di fronte alla distesa del mare...azzurro, ondoso...infinito...bagnato. Il mio primo vagito riecheggia nell’eco dell’immensità, mentre un granello sabbioso si erge a maestoso castello regnante, incantato e spazioso, accogliente e raggiante, accanto ad un petalo selvaggio di un fiore tra mille, eletto a culla madre...il cui scintillio ondulante accarezza tutto intorno a me e magicamente, affettuosamente, stringe intorno a sè ogni palpito di vita...e abbraccia il mio cuore ungendosi delle mie solari e tremule lacrime...ed improvvisamente...è vita.
E’ l’Aria che mi attende. Le andiamo incontro a bordo del nostro sentire, quietamente...ansiosamente.
Falchiamo il tempo, mentre la strada...la strada silente e impetuosa mi corre incontro...scavalcandomi e ingoiandomi. Mi trattengo spaurito all’inquietudine sfuggente del nuovo sentire, affondo le unghie nelle radici del noto, eppur mi sporgo verso le sue scivolose onde che si infrangono nel mio stomaco...una dopo l’altra. E smarrito tremo. E assetato ingoio.
Gli occhi si gonfiano di visioni obliate, sembro immobile nel centro di un ciclone che mi avvolge di vita, eppur sto volando, alto, e dentro di me tutto si sveglia, fragorosamente, all’improvviso.
Come convulso da violente contrazioni uterine, pressato tra le vellutate pareti di cielo e terra, nel respiro del mondo, scivolo... e nell’ingenuità sboccio, di fronte alla distesa del mare...azzurro, ondoso...infinito...bagnato. Il mio primo vagito riecheggia nell’eco dell’immensità, mentre un granello sabbioso si erge a maestoso castello regnante, incantato e spazioso, accogliente e raggiante, accanto ad un petalo selvaggio di un fiore tra mille, eletto a culla madre...il cui scintillio ondulante accarezza tutto intorno a me e magicamente, affettuosamente, stringe intorno a sè ogni palpito di vita...e abbraccia il mio cuore ungendosi delle mie solari e tremule lacrime...ed improvvisamente...è vita.
Marta
sabato 14 giugno 2008
Artcounseling in comunità....
contattArti: LABORATORI EMOZIONALI di ARTCOUNSELING IN COMUNITA' DI RECUPERO PER LE TOSSICODIPENDENZE (centro femminile)
Capita spesso che mi chiedano: e quali sono i colori della tossicodipendenza?
La tossicodipendenza ha gli stessi colori del mondo...la completezza dell'arcobaleno e la versatilità delle sfumature più improbabili...
I tossicodipendenti sono prima di tutto semplicemente persone...con un universo di sensi travolgenti e stravolgenti...Le loro emozioni, spesso anestetizzate dalle sostanze e delle loro sofferenti storie di vita, a volte si assopiscono accucciate in angoli oscuri e tenebrosi del loro essere/non-esser-ci, pungendo silenti sotto la pelle dell'inconsapevolezza, altre volte si insinuano latenti in ritagli di vita, sbocciando di meravigliati sensi in cerca di assaporamento e assimilizione, altre esplodono, come magma rovente e schegge cristalline scagliate nell'infinito...
Lavorare con questa tipologia di donne significa non solo immergersi in un mondo particolare e sempre ardente...quello della tossicodipendenza, ma anche ricongiungerlo e coniugarlo con quella che è la implicita complessità del mondo emozionale femminile...
Pennellate corpose si dipanano nell'atmosfera...e sfumano lacrime, sorrisi, ricordi, desideri, paure, respiri...ogni colore, ogni segno è una parte di noi che prende forma, senso...vita...
Liberamente emozioni si riversano su carta, dense e ricche....
Note e sussurri si traducono in colori e intime significazioni...
...corpi interrotti giocosamente si creano, da pelle a pelle...
e il viaggio profondo e meraviglioso continua...
Capita spesso che mi chiedano: e quali sono i colori della tossicodipendenza?
La tossicodipendenza ha gli stessi colori del mondo...la completezza dell'arcobaleno e la versatilità delle sfumature più improbabili...
I tossicodipendenti sono prima di tutto semplicemente persone...con un universo di sensi travolgenti e stravolgenti...Le loro emozioni, spesso anestetizzate dalle sostanze e delle loro sofferenti storie di vita, a volte si assopiscono accucciate in angoli oscuri e tenebrosi del loro essere/non-esser-ci, pungendo silenti sotto la pelle dell'inconsapevolezza, altre volte si insinuano latenti in ritagli di vita, sbocciando di meravigliati sensi in cerca di assaporamento e assimilizione, altre esplodono, come magma rovente e schegge cristalline scagliate nell'infinito...
Lavorare con questa tipologia di donne significa non solo immergersi in un mondo particolare e sempre ardente...quello della tossicodipendenza, ma anche ricongiungerlo e coniugarlo con quella che è la implicita complessità del mondo emozionale femminile...
Pennellate corpose si dipanano nell'atmosfera...e sfumano lacrime, sorrisi, ricordi, desideri, paure, respiri...ogni colore, ogni segno è una parte di noi che prende forma, senso...vita...
Liberamente emozioni si riversano su carta, dense e ricche....
Note e sussurri si traducono in colori e intime significazioni...
...corpi interrotti giocosamente si creano, da pelle a pelle...
e il viaggio profondo e meraviglioso continua...
Disegnare le emozioni....DROGA/DIPENDENZA/VITA
Disegnare le emozioni: laboratori emozionali con le scuole...
Tema: Droga-dipendenza-vita
Le riflessioni "grafiche" degli studenti intorno al tema della droga, della dipendenza, del valore della vita, del cammino comunitario...
I loro messaggi e doni ai ragazzi della comunità...scintille di luce sull'oceano dell'emozione del vivere!
Grazie e tutti voi ragazzi!
Disegnare le emozioni...PAURA/DISAGIO
Disegnare le emozioni...RABBIA
Disegnare le emozioni...FRAGILITA'
Disegnare le emozioni: laboratori emozionali con le scuole...
Tema: FRAGILITA'
Fiori e farfalle in grande quantità ci librano intorno, dalle svariate forme e i varipinti colori; foglie scricchiolano sotto i nostri passi timidi e armati di misericordiose maschere ci inoltriamo entro i sentieri contorti del vivere, inciampando in cuori infranti e lacrime cristalline, davanti ai numerosi bivi della nostra vita...
DISEGNARE LE EMOZIONI...laboratori emozionali con le scuole
Giovani, dinamici, alla moda, emancipati, stereotipati...SUPERFICIALI. Gli studenti delle scuole di istruzione superiore appaiono così, riversandosi come mandrie imbufalite entro le porte delle fragilità e delle dipendenze...
Le cose non sono sempre come appaiono...
Dolci...fragili...insicuri...spaventati...soli...disorientati...e con un universo dentro immenso pronto ad espodere nelle sue multiforme ed i suoi prismatici colori davanti alla silente sollecitazione del tasto giusto...teso al loro ascolto, alla semplice accoglienza, pronto a canalizzare una veemente e fiorita fuoriuscita emozionale...e CREATIVI, estremamente creativi: ecco cosa sono in verità...queste mandrie di giovani imbufaliti...
Lacrime, risate, sorrisi, paure, condivisione e molto altro ancora ci hanno accompagnati attraverso i nostri colori...esplosioni di mondi intensi...
Ecco qualcosa di loro...in viaggio in picchiata dentro le loro emozioni...
Le cose non sono sempre come appaiono...
Dolci...fragili...insicuri...spaventati...soli...disorientati...e con un universo dentro immenso pronto ad espodere nelle sue multiforme ed i suoi prismatici colori davanti alla silente sollecitazione del tasto giusto...teso al loro ascolto, alla semplice accoglienza, pronto a canalizzare una veemente e fiorita fuoriuscita emozionale...e CREATIVI, estremamente creativi: ecco cosa sono in verità...queste mandrie di giovani imbufaliti...
Lacrime, risate, sorrisi, paure, condivisione e molto altro ancora ci hanno accompagnati attraverso i nostri colori...esplosioni di mondi intensi...
Ecco qualcosa di loro...in viaggio in picchiata dentro le loro emozioni...
...continua...
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